martedì 6 marzo 2012

TESI 2009/2010: Angela Petitto e Beatrice Vacchelli


IL RACCONTO

Arabella
Una notte, viaggiando tra boschi innevati e con me un fugace pensiero nella testa, apparve Arabella. Da un ponte oscillante ma deciso, in un’oscurità avvolgente con argentate venature e accecanti riverberi, dalle forme sottili ma opprimenti, dall’aria leggera ma viscosa, dal vento penetrante ma vellutato, l’orizzonte impercettibile riportò la mia attenzione verso una luce lattescente proprio in un crepaccio vicino al mio sguardo:
essa era l’anima informe e impenetrabile del suo nucleo, del suo capire, del suo mutare, del suo distorcere agli occhi umani ogni attimo di vita. L’identità dell’essere è succube e prigioniera dell'aurea impalpabile di foschia, rapida e pungente nello scegliere e segnare con stridenti ticchettii ogni singolo frammento delle insipide sagome che vedo svicolare velocemente intorno a me, e scomparire nella coltre grigiastra.
Con sarcasmo e dedizione, con subdolo piacere, disgrega il semplice e vulnerabile involucro di cristallo in cui è racchiusa e cresciuta; affinché il tempo irrompa inesorabilmente con l’ultimo e sonoro frammento, sfilacci quello che siamo in mille schegge specchiate per ricoprire l’intera superficie della città, ormai torbido tepore, che riprende prepotentemente forma. Una città viva che si nutre di ogni fervido sapore di fantasia…
Dopo il ponte la foschia mi abbagliò, ed io impaurito mi gettai nella prima uscita che il mio sguardo vide, ed entrai in quello che sembrava essere uno scheletro di un imponente grattacielo.
L’oscurità mi avvolse un’altra volta, trovandomi però in una dimensione impalpabile, poiché l’intero spazio era ricoperto da specchi e riflessi, ove filamenti scuri e rigidi fluttuavano intorno e me: mi sfioravano, mi deridevano. Essi venivano convogliati in un unico punto del soffitto, vitreo, dove improvvisamente cambiavano colore e forma, investiti da una luce accecante diventavano bianchi e sinuosi, erano in continua crescita e perenne cambiamento, sembrava, quasi, che lo spazio respirasse, creasse, crescesse…
Uno spazio vivo in continua evoluzione e movimento; i filamenti si intersecano, si rincorrono, danno sfogo ad ogni mio gioco, lo spazio diventa, così, essere vivente con tutte le sue esigenze. E sentivo sussurrarmi all’orecchio: ”toccami, tirami, mangiami, sfiorami, sorridimi…”. AP&BV





IL PROGETTO
 
Lo spazio
Il parassita dalla forma sinuosa e longilinea come se fosse un filo si addentra nel nostro spazio interno entrando dal terreno sottostante; striscia sulle colonne portanti e comincia a invadere lo spazio tessendo una ragnatela. Uno spazio in continua evoluzione, crescita e cambiamento, non avrà mai fine.

La ragnatela è carica d’energia e di dati, la sua memoria entra in connessione con la memoria del nostro abitante, anch’essa, indispensabile.
Lo spazio si sviluppa e si stratifica in tre stadi di crescita:
- passato: il primo stadio è assorbimento dello spazio tramite il terreno.
- presente: il secondo stadio è l’azzeramento delle superfici che ostacolano il suo percorso.
- futuro: il terzo stadio si sviluppa verticalmente verso la luce naturale, la pelle ricopre lo scheletro.
E’ uno spazio molto plasmabile, si alternano reti di diversa trama in corrispondenza dei dati contenenti, come se contraesse e rilassasse i “nervi”.
La luce entra dalla parte superiore, attraversando le varie stratificazioni; invadendo e riempiendo così i vuoti.

Cercando una relazione tra lo spazio in cui si vive e il paesaggio, rompendo il confine tra pieno e vuoto in una sorta di liberalizzazione totale, è possibile essere dentro e fuori allo stesso tempo. Lo spazio va vissuto e ascoltato, non soltanto contemplato: tanto più uno spazio è bello, ci emoziona, tanto più c’è da ascoltare.

Il controllo e non la forma dello spazio vuoto diventa uno dei temi principali del progetto.
Un interno in cui il volume e l’involucro scompaiono e gli unici segni che si rivelano in superficie sono solchi, tracce nel suolo che illuminano gli spazi sottostanti e ne permettono l’accesso.
Il sinuoso movimento dello scheletro che appare e sparisce nello spazio interno.
Esso e’ sospeso nello spazio per non impedire la naturale crescita della natura sottostante. Uno scheletro capace di delineare uno spazio attraverso un movimento meccanico, rendendolo abitabile, assumendo cosi varie forme, sempre diverse.
All’inizio le costole arrivano alle ginocchia, poi lentamente raggiungono l’altezza delle gambe, del busto e delle spalle, fino a far scomparire il corpo nel vuoto lasciato libero dalle costole stesse.
La totale immersione nello spazio raccolto costringe il corpo a movimenti cauti che isolano completamente l’individuo. La struttura esplora l’idea di apertura e chiusura, modulando la relazione tra interno ed esterno. Il vuoto interiore è creato dall’assenza di significato all’interno del campo delle costole. La combinazione dei vuoti inscritti varia al variare della posizione del corpo.
Dilatandosi e contraendosi attorno alla luce, l’interno “naturale” e “artificiale” danno vita ad una nuova materialità, in continua evoluzione e crescita, senza regola, seguendo il movimento dell’abitante.
Da un punto di vista spaziale lo scheletro raggiunge una totale libertà nello spazio. La superficie riproduce all’infinito una condizione di instabilità e lo spazio abitativo conquista una nuova dimensione: flessibile e aperto.
Lo spazio si estende sia verticalmente che orizzontalmente, non individuandone mai i limiti. Condizione spaziale ambigua attraverso un numero limitato di materiali e una serie infinita di movimenti. Nel silenzio più completo, il suono dei passi, il rumore e la luce riflessa dalle costole coinvolgono i sensi, il vuoto diventa una presenza sempre più marcata, la struttura sparisce e noi ci ritroviamo soli.
Una struttura artificiale la cui forma non può essere gestita, la natura elabora un metodo progettuale che produce delle forme in continuo divenire.
Il design ricerca nell’immaginario naturale nuove figure, permette alla natura di deformare il confine per ridefinire il corpo stesso dello spazio costruito.
Memoria ed esperienza si relazionano con il nostro movimento all’interno dello spazio.
Non esistono finestre ma unicamente giunti di continuità tra spazio e natura circostante. Si svela lo scambio continuo di energia tra l’uomo e il suo ambiente, come parassitismo e simbiosi.
Dal momento in cui entriamo in questo spazio ne diventiamo una parte insostituibile, fino a materializzare la memoria di un’esperienza.
Gli elementi naturali, riassemblati in una scatola artificiale, sono in grado di suggerire un nuovo modo di vivere lo spazio interno.

L’abitante
L’abitante si estranea dal mondo contemporaneo, alla ricerca di stimoli autentici, per ritrovare emozioni e se stesso, tornando alle origini della vita.
Il bisogno di ricordare e di non dimenticare, lo spinge ad una rigenerazione dell’animo per entrare in contatto con lo spazio che lo avvolge in una membrana cercando così un rifugio.
L’abitante cerca l’estraniamento e l’isolamento, un contatto piu intimo con la memoria.
È importante trovare un proprio punto di sosta, ricercando un significato profondo quasi intimo.
L’atmosfera rigenera la memoria dell’abitante che sperimenta un nuovo modo di vivere.
Svelare lo spazio, non tanto quello fisico, quanto soprattutto quello mentale.


Nessun commento:

Posta un commento